La cosa smarrita.
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Smarrirmi nella nebbia,
cercare a tentoni
una strada, un volto,
un muro familiare.
Fingere di perdermi
in labirinti bianchi,
tra barriere di fumo
intrise di umido.
Poi lo squarcio di luce
che indica la via:
riconosco la pietra miliare,
il tetto il campanile .
L'incanto bianco si dissolve
e ritrovo la cosa smarrita. |
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Aspettando la notte.
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In fretta
ceda alla notte
il passo il giorno
perché ritorni il sonno
- e il lungo sogno -
che a te mi riconduca
e mi congiunga.
Domani, al canto del gallo,
ti lascerò domani. |
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Silenzi.
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Parlo,
le mie parole nessuno ascolta.
Come perle,
scivolano silenziose
e non vi è chi le raccolga.
Trattengo in gola
altro ancora da dire
perché nessuno ascolterebbe.
Sono questi i silenzi
che feriscono. |
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Il timore.
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Non temo che l'autunno giallo
marcisca i frutti
ed affoghi in putredine
i narcisi estivi e le tremule dalie,
né che muti il colore brillante
del cielo in scialba tavolozza
i colori casualmente rimescolati.
Nemmeno temo le prime piogge,
leggere, cadenzate,
che ripuliscono i selciati
e annegano detriti nei tombini.
E' piuttosto l'incombenza dell'inverno,
i lunghi silenzi, le mute nevicate,
ciò che temo.
Ma soprattutto la tua dipartita
mentre all'orizzonte trascolora
l'ultimo tramonto estivo
e seduta sul masso, che guarda
scorrere pigro il fiume,
annego il mio sospiro
nel primo alito di vento. |
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La donna del ritratto.
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I)
Perlacee rose in boccio, doppie, vellutate,
talune un poco sfatte, stremate di calura,
in fascio rigoglioso ma piccolo, discreto,
quasi per caso adagiate sul ripiano marmoreo
lievemente sfiorate dall’antica fanciulla
con mano gentile adorna di rubino.
II)
Sbiadita nella foto color seppia
ha candide vesti verginali,
le braccia nude velate da tulle e taffettas,
un crocifisso pensile su seni discreti
ed occultati dalla destra distringente il libro
madreperlato di preghiere, dono delle Orsoline,
dove, ragazza dabbene di buona famiglia,
or ora ha completato l’istruzione collegiale.
III)
Nel volto quieto e serio dall’espressione soave,
appena appena un’ombra un poco grave
di compresa circostanza,
( la foto virata è stata commissionata
per lo sposo promesso che ancora non conosce
)
pur viva nel ricordo
io stento a ravvisare la donna del ritratto.
Eppure quello sguardo
è familiare e familiare l’ovale del suo
viso
privo di belletto, le linee della bocca
piccolina a cuore senza nessuna traccia
di rossetto, l’annodo dei capelli infiocchettati
bassi sulla nuca... E’ come se guardassi nello
specchio...
IV)
Oh, sì, ora ti riconosco, madre di mia
madre,
romantica figura di anni assai lontani,
ti riconosco in me e nelle mie fattezze.
Carezzo quella mano leggiadra tra le rose,
con l’indice risfioro le guance tue, le mie,
ti guardo dentro agli occhi e ti sorrido,
figura d’altri tempi che ora non sei più
ma pure viva sei ,cara fanciulla morta
di quel ritratto sfatto
datato quindici aprile del diciotto. |
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La voce.
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D'estate poi quando c’era canicola
s'usciva dalla casa poverella
dal caldo afoso delle sue pareti
e sopra al pianerottolo s'andava.
La nonna si sedeva tra le scale
e con il suo ventaglio sventolava
il volto roseo e i seni lenti, le gocce
lacrimanti del calore. Poi mi parlava.
Bambina io con lo sguardo attento
in quell'arsura torrida d'agosto
i suoi racconti avida ascoltavo,
ma non so come piano m'assopivo.
La testa china sulle sue ginocchia
nel sogno lei ancora mi narrava
di fate, principesse, gnomi, draghi,
di re, regine, reami immaginari,
magie, incantamenti , filtri stregati,
balli, castelli e ponti levatoi,
principi azzurri in groppa ai lor destrieri,
fanciulle liberate dalle torri.
E quando mi destavo dall'incanto
curioso mi sembrava ritrovarmi
accalorata, gronda di sudore,
tra vecchie scale con la vecchia nonna.
Anni dopo, la nonna dipartita,
demolita la casa poverella
con le sue scale rotte e malandate,
su quella calda estate dell'infanzia
avrei poi scritto una poesia.
E spesso rileggendola rivedo
la nonna sventolante col ventaglio,
la casa diroccata, me bambina,
e sempre nelle orecchie mi risuona
la cantilena dolce, quieta nenia,
che raccontava fiabe, e quella, penso,
era la voce di spensieratezza. |
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Sorelle
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La solitudine e la morte
- ché l'una non giunge
senza l'altra -
sono sorelle nella tristezza,
desolate come una casa vuota
dopo un trasloco,
un mattino d'inverno. |
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Ancora vorrebbe il cuore primaverile.
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Ancora vorrebbe il cuore primavere,
eppure già s'approssima l'inverno.
Ed era solo ieri che alla gramigna
il merlo fischiettava
ed a balzelli attraversava il prato,
ma prepotente incombe sui destini
muto e severo il tempo del silenzio. |
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Sempre mi penso.
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Sempre mi penso come al petalo
della margherita lacerato
dalla frase ossessiva,
come al libro sullo scaffale
riposto e dimenticato,
come la vecchia stoviglia inusitata.
E mi scopro inutile oggetto
sospeso in precario equilibrio
tra le fragilità. |
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