Le facce di un tempo.
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La loro forza sta nel non avere grandi speranze,
questa è la minaccia che portano,
la portano stampata in faccia tra sorrisi di
denti bianchi,
denti serrati e spuntati, dentro bocche che ci
rimproverano.
Si gettano a frotte su tutto ciò che riluce,
sono avidi di tutto.
Dopo essersi scaldati e ristorati
i loro occhi si voltano a scrutare intorno.
Dopo la pietà che esibiamo per circostanza,
sale in noi e prende corpo un malessere.
E un malessere antico, credevamo scomparso,
abbiamo la certezza: ci assomigliano.
Nonostante le facce scurite e stanche del viaggio,
esauste del viatico da Golgota,
siano facce scure, irsute o smagrite le riconosciamo:
le portavamo noi qualche decennio fa che ora
ci pare un secolo. |
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Il volto della miseria.
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A scendere da quelle carrette che chiamano navi
o traghetti
siamo noi, siamo noi di qualche decennio fa
con le nostre giacchette lise ad insaccare un
corpo senza spalle.
Sono sformate le saccocce, da pezzi di duro pane,
pallottole di carta lurida,
a nascondere quel poco che si è salvato
di là dal mare.
Il malessere di noi si impossessa,
ci regala notti inquiete, incubi da far stringere
lo stomaco.
Ci assomigliano, per questo li temiamo.
Vorremmo sbrigar la faccenda con qualche sorriso,
un brodo caldo che scalda loro e a noi gela le
viscere,
per poi nasconderli il più lontano possibile.
E la nostra miseria di un tempo che torna:
serrate le frontiere! Son delinquenti! Non hanno
voglia di fare niente e ci rubano il lavoro!
Ci attacchiamo a tutto pur di non rispecchiarci
e lenire il disagio che ci strozza. |
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Poveri cristi.
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Sono poveri cristi, a percorrere le nostre strade,
increduli.
Hanno negli occhi un'urgenza cui non sappiamo
rispondere.
I più giovani di loro in sé portano
il futuro ed una scommessa,
sono i figli della miseria e dell'orrore.
Sono anche i figli d'eroi senza nome, sono figli
defraudati di tutto.
Saranno loro che con i nostri figli ridisegneranno
un futuro meno crudele.
Inutili saranno le frontiere, inutili aborti di
legge, il futuro è loro,
per una mescolanza che tutti ci libererà
dal malessere antico. |
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Versi della dama.
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Mi agito come furia,
torno torno a quest’angolo male illuminato di
strada,
ai margini di un bosco
con l’acqua che inizia a scendere sul mio capo,
appena coperto da un foglio di giornale.
Pensate che sia questa la vergogna,
questa la vergogna che temo,
quest’acqua nera che riga il viso?
Per quest’acqua sporca che m’insozza
avrei lasciato il mio paese di sole?
No, no è la paura di dimenticare il tuo
volto,
quando come una bestia a quattro zampe
pensano di avermi per loro, fosse anche un minuto. |
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Secondi versi della dama.
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Solo le mie mani,
ad esplorarti le cosce,
solo le mie mani sanno
serrare e riconoscere il tuo sesso duro.
Nelle mie mani solo
la geografia del tuo corpo,
corpo che non dimentico
e che richiamo unico
in questa promiscuità
di clienti che lasciano in me solo
veloci odori di commercio. |
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La separazione della dama.
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Ma come avvenne questa separazione?
Ci strapparono gli uni agli altri di più
le grida.
Le grida delle madri per figli morti di fame,
le grida d’uomini per la terra che non dava più
frutto.
Fu chiaro allora il da farsi,
per te strade e strade di polvere,
per raggiungere un misero lavoro.
Per me quest’angolo di strada
a mostrar le cosce aperte,
che seppero cullarti e accoglierti
ed ancora in sé un profumo di bosco serrano. |
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La terra persa della dama.
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Sul camion che ci avrebbe tutte condotto di là
dal mare,
ci avevano assicurato di un lavoro di donna a
servizio.
Il viaggio tra noi donne scorse con apparente
calma,
con gli occhi che mai si staccavano dalla terra
che si allontanava.
Una volta arrivata a me fu subito chiaro il destino
che ci attendeva.
Lo capii dalla sua mano callosa a rigare il seno
mio,
dalla bava calda di vino che si seccava sul mio
collo lo intuii con terrore,
e dopo l’invasione nel mio corpo,
una rassegnazione s’impossessò di me,
nel vedere il verme fuori del mio ventre oramai
sazio.
Della terra persa tra noi la sera,
in questa lurida strada, non facciamo che parlare. |
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La memoria della dama.
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Dopo tanto vigore e tanta fretta,
resta di te, che non conosco e non ricorderò,
l’attimo in cui la tua verga esce da me molla
come verme.
In questi attimi, prima di un debole farfugliar
saluti,
la memoria torna a te ai tempi dei nostri amori,
dove dopo amore ritornavamo all’amore ed a ricercarci
tra sospiri mai sazi. |
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Gli ultimi versi della vecchia
dama.
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Vi meravigliate di quanta furia in questi versi?
Ora che mi chiamano la vecchia dama,
solo quest’inquietudine mi spinge a ricordare,
ricordare e cantare la mia gioventù africana
gettata su un camion ed in questa nuova terra
di nuova assassinata.
Nel commercio con uomini vogliosi,
mai il profumo di te ho dimenticato,
e nell’incavo del mio ventre sale l'odore del
seme caldo tuo
a ricordare il profumo della nostra terra. |
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Silenzio.
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La mia voce pare non raggiungerli,
si perde tra le alte mura delle stanze.
Tutto attorno è un vociare continuo
che si alza di tono.
Come vortice cattura il mio urlo,
disperdendolo in alto
per poi fuggire come fa la nuvola di fumo
in cerca di un pertugio o di una finestra chiusa
male.
Non voglio sentire le loro lusinghe, tentazioni
che dannano l’anima.
Ritornano come fa la pioggia,
picchiettando ad insozzare le strade.
Ora si son fatti più furbi,
non più alle urla di protesta rispondono
con randelli,
ma vi guardano increduli, facendo la mossa di
non aver capito,
per poi lasciarti in campo aperto,
solo ti resta guadagnare la strada del ritorno. |
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Cartoline.
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Cartolina del settimo anno.
La ricordo bene,
dietro il suo sorriso tutto il dolore del mondo.
Distesa su quel letto, me la ricordo bene.
Le mani serrate alle lenzuola,
le braccia piagate da mille aghi.
M’insegue quel dolore,
mi visita nel sonno,
ma trattengo nel buio un urlo.
Ora di anni ne son passati sette,
di te vorrei canterei più volentieri l’amore.
L’amore canterei, sì.
Dell’amore bisogna cantare.
Cartolina agli amici di un tempo
In quel momento fu brutto spogliarsi di tutto.
Sembravo alla mercé di tutto e di tutti.
Non opponevo resistenza,
i loro sguardi mi attraversavano, mi soppesavano,
certi di aver scoperto tutto di me.
Fu in quell’attimo che seppi di loro ogni cosa.
Cartolina dai campi
Qui la pioggia batte sulla terra nuda,
lavorata da poco.
Con insistenza si scava un solco,
un rivolo prende a scendere
disegnando arabeschi, scrivendo versi da decifrare.
La terra tutta l’acqua accoglie, la trattiene
in sé e se ne nutre
restituendo vita.
Cartolina dell’attesa
Artigiano della parola, tesso tele di vocaboli
per raccontare storie, donando amore o chiedendolo.
Tu artigiano del legno,
scultore improvvisato,
giri intorno al tuo ciocco,
colpendolo con grazia, scoprendovi visi, occhi,
becchi d’uccelli,
ali d’angelo, fiori, cavalli in corsa.
Tu, come me, nell’attesa di una rivelazione,
di una promessa, di un’opera che non si compie. |
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Cartolina pasquale.
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Carissimo,
mi si dice che con la moderna tecnologia
si è stati capace di riprodurre,
non so con quali artifici e quali mezzi, il vero
volto del Cristo.
Quanto orrore ha generato, lo stupore è
stato grande!
Non aveva un bel volto d’angelo, con boccoli
dorati e barba bionda.
Tutti si sono affrettati a dire che vi era un
errore,
quel volto del Cristo era troppo simile ad un
volto di un povero Cristo!
Ora tutti noi festeggiamo la pasqua, c’è
chi parte e c’è chi resta.
Tutti noi abbiamo fretta di dimenticare quel
volto ricostruito,
troppo simile ai visi disperati che bussano alla
nostra televisione,
proprio mentre stiamo scartando le uova di cioccolato,
così bene infiocchettate. |
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