Un'ombra.
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Un’ombra associa il divenire e tra i rami
giuliva
l’alba: a chi e a cosa porgere lo sguardo?
Tardo mattutino sguardo che urta rami di una
morente scura
foresta amara di plumbee e amare disincantate
movenze
e la notte ivi tace mantenendosi in serbo
matura. |
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Non compiacermi.
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“Non compiacermi nel fondo oramai tuo per
sempre cara”
E chi è dell’alba un padrone mi doni
la sapienza d’accedervi
senza ch’io rinsavisca, tremando, pallido
come l’alba che d’altronde danza
e danza di un’inusitata danza dai mille e
mille risvolti appaganti
quali intristiscono tali strali minacciosi
e amari
possano, debbano anch’essi arricchirne il
giorno
enunciati nella notte da un rigore amorfo
per nulla confacente e acceso
dal labbro scalzo e tremolante
e dal freddo che ti stanca le gote
gli zigomi pesanti come il carbone nella calza
a cui ora il pensiero indirizzo juvenio e
febbrile
delle mie prime tramandate attese
come il carattere austero del sonno
che ogni di mi appar straniero. |
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In un nitido controcanto.
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In un nitido controcanto
s’alza l’umana mano
cielo
accesso al terzo Pantheon
libero movimento
provocatoria e disinvolta iattura
quotidiana eccezione
si forte e di grande dignità linguistica
e stilistica
S’inaugura dunque un modello unico e perentorio
che convince poco, però
sempre di più
anche riesce
giocoforza ad inalberarsi;
spugnoso alveare di umana gente
dove là le strutture
si ergono a già sopiti lavori
diurni
Un primordiale strumento di sgomento
la lama ascosa al sudore
crudeltà ancestrale;
l’acre sudore di chi non ha più legami
se non deserti
terreni ormai imbattuti dal calmo e piatto
pensare escatologico
di un pensare esotico ondivago e vagante pei
cieli ad adusato scopo
tutore di un disarmonico risentimento iconoclasta
come il secondo Verbo imperante
luminosità Divina e chiarezza
accecate da una pioggia di sabbia mediorentale;
subitaneo tutt’uno roteante
enigmatico
allegro compendio metafisico
in energiche energie mediatiche quando
il Network si libra nell’alto atmosferico
esperibile
Libero decontrollato
dissociato per sempre da ogni sorta di prevenzione
sembra procedere nel niente
un orizzonte ideologico al maschile
misantropia del no-logo
circoncisa da grande diffidenza
Il prossimo? potrei essere io
e chi altri potrebbe precedere
una disinvolta ondivaga ombreggiatura della
solitudine
se non la mia mente
che del mattutino inquietante divenire
se ne rende partecipe
all’istante
tramite schermo o sfolgorante apparizione?
Mamma... guarda!
Eppure tutto si sapeva
ogni cosa ci stava;
dagli al feticcio bicuspidale
che da un’innata terra globale redige confini
al mondo
Opere prime
demarcazioni rutilanti
sovrapposte al mito della misoginia;
scritti postumi di una Babele astrusa
inceneriti in un’Alessandria in fiamme;
filosofie sepolte
forse inneggianti aborti et simbiosi estreme
come l’incedere silente del seme
nella provetta
Paradisi precostituiti
Tutti gli stili dell’uomo
La pansessualità di K
Il paradigma dell’evirato
Il latte di Giordano Bruno
Fertile-età
gelosa della sua esistenza
nel mito dell’uomo si spezza
e, come sul sellino di uno scooter,
un uomo, una donna
un oggetto traballa
Delta contrapposti della stella di David. |
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Indirizzare il nostro sguardo
altrove.
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Indirizzare il nostro sguardo altrove
Là, dove cessa l’evento pelvico
là, dove non bastano reliquie
là, dove non c’è più
religione
presso i mercanti asceti del sesso
che incantano anche te
mentre nel cielo si consuma
quel loro modo di ordire
trame dall’Etica spartana
aliena a Dio moderno e Natura;
ce n’è per tutti i gusti
il potere delle passioni
Nell’assoluto domani postorgasmico
niente di simile
è già avvenuto. |
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A Dio.
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a Dio
come fossi di lui privilegio ingrato
Assennarmi dunque
in un duello animato
dal mio rendermi irreperibile spirito paolino
“ombra delle cose future”
giacché ora dica
con passi pagani antecedenti il Verbo
leggero e frusciante dogma
ordinato spavento del dentro.
Un arco serale sale
sospinto da un’onorevole soglia dell’arresto
e non intacca, seppur così sospinto,
il tappeto piritico del firmamento
Ne persevero il tralignare
la luce cinerea
l’incedere imbecille mentre
dal sommo spicca Vega
d’agosto
come gli amori si acquieta
e tutto riposa
posa in un’isteresi enfatica
è l’embolia del tempo
la noto
qua e là, ovunque
un ritmo felice
dall’incedere lunare
Essa detta vita
qui, sulla terra desta quindi
un intenso riflesso particolare
che va oltre le grondaie dei cirri
e appare scompare in immense aurore premattutine
e non sbiadisce mai
perché in lei vige l’opaco assoluto
dissolvente
un colore che non teme
seppellisce e ancora
non sbiadisce mai
Luce
indelebile attardo
divorato dall’attesa
nei vortici stanchi e dimessi
inodori a tratti
deserti meriggi cavi
fermi
lì, ad aspettare il buio
cecità dello spazio silente. |
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Cose mai viste.
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Cose mai viste
tra l’altro, furtive e nascoste
si aprono
esagitate incidono
il video ne è pieno
di occhiate
sconnesse credenze di pietra
vestigia di uomini
Tralasciando coni di cobalto
si è smarrito il significato profondo
dell’amore
e non ci salverà nessuno da questo
mondo
neppure l’ombelico profondo del Vodafone
nè Alan Greenspan
Saluti e baci dunque
dall’urbanizzazione
dalle grandi reti fognarie
dagli atenei interattivi
Intaccate solo e attraverso lo spirito
le specificità privatistiche.
segnano il passo
e, ritornano in auge, secreti parlamenti
e dolci e chiare
movimentazioni di massa
all’interno di rozze sfere di cristallo:
scenari inversamente proporzionali
nevicate occasionali
intaccate solo e attraverso lo spirito
che rifugge un’infausta realtà
sorridente alle rovine
dei templi miei medesimi
e del personale mio e solo essere:
il presente dai suoi scarti a bruciapelo:
teoremi ingombranti
la lunga loro durata
salvati dalle acque di Barens
acchiappati e sellati
tratti in salvo morti
da una gigantesca madre
“immondizie/ cenere/ stupida menzogna”
ammasso di sterco nucleare
Riemergono così, quotidianamente
e si aprono al mondo attraverso i miei poveri
occhi
Cataratte di merda
Una salma, due
Vola
commemorata a stento
una salma nell’occidente
e, mentre io, steso sul sofà
provvedo ad innevare artefatti contesti,
una selva minatoria
si appresta a censire
i miei pochi gradi
le mie risorse umane
poche di un’umanità nascosta
che rifocilla il cuore
a stento
con parsimonia
e
riproduce sterco
stereotipato sterco
Solo così
riconosco
mio malgrado
di aver vissuto attimi
che mi hanno irrimediabilmente migliorato. |
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Vero è.
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Vero è
solo il tremito
l’assurdo scalpitare dell’anima
che sale
di un remoto salire
e s’ode
l’impennarsi flebile
di un pesante stormire
e io che ebbi ben poco da offrire
giaccio
contaminato dal bianco
che non oso sporcare. |
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Un arco serale.
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Un arco serale sale
sospinto da un’onorevole soglia dell’arresto
e non intacca, seppur così sospinto,
il tappeto piritico del firmamento
Ne persevero il tralignare
la luce cinerea
l’incedere imbecille mentre
dal sommo spicca Vega
d’agosto;
come gli amori si acquieta
e tutto riposa,
posa in un’isteresi enfatica
è l’embolia del tempo
la noto
qua e là, ovunque
un ritmo felice
dall’incedere lunare
essa detta vita
qui, sulla terra desta quindi
un intenso riflesso particolare
che va oltre le grondaie dei cirri
e appare scompare in immense aurore premattutine
e non sbiadisce mai
perché in lei vige l’opaco assoluto
dissolvente
un colore che non teme
seppellisce e ancora
non sbiadisce mai
luce
indelebile attardo divorato dall’attesa
de vortici stanchi e dimessi
inodori a tratti
deserti meriggi cavi
fermi
lì, ad aspettare il buio
cecità dello spazio silente,
e io che ebbi ben poco da offrire
a Dio
come fossi di lui privilegio ingrato?
Assennarmi dunque
in un duello animato
dal mio rendermi irreperibile spirito paolino
“ombra delle cose future”
giacché ora dica
con passi pagani antecedenti il Verbo
“leggero e frusciante dogma”
ordinato spavento del dentro. |
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Le giostre più intime.
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Le giostre più intime
non trasportano più fanciulli
Le grida spaurite
le invocazioni soprane
smentite
dalla lucentezza sfolgorante dell’oggi
Una fotosintesi
però
rimembra stati comatosi dell’infanzia
e rivive in me l’allegrezza
che di tutte le parabole dei babbi
l’è solo un tapino ricordo” |
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