Raccolta poesie di:

G.R. Ierfino


Indice della raccolta:


Alla luna. Disastro senz'altro nel mio giardino d'infanzia.  Ed io che faccio...
La loco(e)motiva. Le onde. A mia madre.
La solitudine. Per cantare. Il basso.
La chitarra. I tasti bianchi e neri. Le percussioni "sono il mio tormento".
L'erba voglio.

 

Alla luna.
Luna… 
è meglio che sia chiaro: 
io non t'amo… 
tu non sfavilli e triste mi rendi… 
ma non t'accuso. 

Da sempre 
appari 
sempre fredda, 
distinta sempre, 
e sempre, 
troppo distante 
agli occhi miei… da sempre 
sempre,
anche se, 
a volte nuda o avvolta 
in trasparenti veli 
e di gemme azzurre 
mie amiche e mie compagne…. 
ti circondi. 

Ma colpe tu non hai. 
T'hanno ferita, 
ma il sangue è mio: 
non riesco a scriverti 
amorosi versi. 

Ti sei immolata 
a girare 
sempre… 
sempre in tondo 
come asina legata a macina perenne, 
a volte a palla, 
come gravida falena, 
o ammaccata, 
a volte cornuta 
ma con lucide pungenti punte 
come capra ferita, 
o algida o infiammata, 
da regina 
non veramente amata… 
su esseri che temono la notte 
e silenziosa 
e senza fantasia 
ti specchi 
nei miei mali e mari 
superba e sola. 
Tu susciti fantasmi 
dentro i miei regni. 

Ma grilli e brezza e rane 
sono nostri compagni 
e cani e galli 
e gatti, 
amanti e amati gatti, 
ci fanno compagnia, 
senza mercede. 

Mancano oramai le lucciole 
ci son pur'esse 
ma d'altra razza. 

Sognare 
fai di donne generose, 
innamorate 
di me menestrello 
su spiagge incantate 
dalla tua luce…. 
ma sono solo sogni 
son tutte incatenate 
prigioniere di croci 
e catene. 

Ricordati però 
che 
 io 
sono aquila… 
non amo i pipistrelli. 

T'ho detto questo 
 ma non t'adombrare… 
lo so 
sei suscettibile 
ma 
non m'odiare. 

Fammi un cenno, ti prego, 
dimmi… 
Assisterai 
non fredda 
ai miei tormenti e sogni? 

Piangerai lacrime 
di perla 
alla mia fine? 

Dimmi di sì, ti prego. 
Luna è meglio che tu sappia: 
tu non sei della mia razza. 

Io sono fuoco 
ed io voglio bruciare, 
bruciare, 
bruciare come fiamma, 
come meteora, 
come stella cadente… 
io morirò, 
finirò i miei giorni, 
ma ti prego, 
anzi t'imploro 
ricordati di me, 
non solo adesso 
che sono qui 
ai tuoi piedi… 
in questa notte stellata 
e senza sonno, 
ma 
per l'Eterno. 

Voglio esserti compagno: 
stella 

dare rotta e compagnia 
ai naviganti 
miei compagni 
d'altri spazi e tempi 
Che sono sperduti 
ma incantati, 
come me, 
in questa notte, 
nel mare 
capriccioso e turbolento 
della Vita. 

Luna 
superba e sola luna, 
io patriota 
senza Patria 
che non sia l'Universo, 
tutto ma tutto l'Universo, 
io, 
padre e figlio 
di Figli e Padri 
ribelli 
a dolore, al Male e al Nulla, 
ma amanti 
del Buono, Giusto e Bello 
come filosofo 
di questa stellata Grecia, 
che io amo e m'ama, 
stella tra le stelle 
che ti stanno attorno… 
sono, siamo e saremo 
tuoi compagni…. 
diamo e daremo 
senso e sensi 
al tuo giovagare 
senza meta! 

Luna illumina la notte 
agli eroi, ed agli amanti, 
ai senzatetto e santi, 
ai profughi, ai diseredati 
ed assetati 
di 
giustizia, amore e verità. 

Solo i poeti 
possono importelo 
coi versi: 
Luna ubbidisci! 
... Ed io,
Uomo, 
dio concedente, 
ti renderò 
libera e felice 
come leggiadra capretta 
tutta agghindata 
di stelle e rubini 

d'erbetta e fiori 

tu ti pascerai 
pei prati 
verdi ed infiniti 
dell'Eternità, 
assieme ad arieti 
e caproni 
tuoi devoti amanti e vassalli. 

Luna, amore mio… 
che 
il Cielo assista anche te. 




Disastro senz'altro nel mio giardino d'infanzia.

Il fiume o meglio la fiumara 
(ora ma non allora) 
mi sa di amaro e di sale. 

Era deserto o mare, 
ma voi 
del Po e del Nord 
non capirete. 

Son dispiaciuto e ne provo gran dispetto. 
Ma fa lo stesso. 

Altri orizzonti, 
altri mari e Marie, 
altre montagne. 

Sa di amaro e di sale 
(e vi dirò inoltre il perché). 

Un giorno voi foste fanciulli 
come io pure son stato. 
In questo almeno siamo tutti uguali 
e tutti mi capite: 
parliamo la stessa lingua seppur storpiata. 

Le vostre e nostre acque erano chiare, 
ora sono devastate e disseccate, 
ma il vostro verde s'annebbia nel grigiore, 
e i vostri sogni sono diventati 
orrore o peggio ancora terrore. 

Il mio fiume era chiaro 
e si chiama ancora fiumara Chiaro. 

Dio del fiume 
allora, 
io,
fanciullo ero, 
e di rane e granchi 
(purtroppo me ne dispiaccio solo adesso) 
ero il terrore. 

Cosa volete 
bambino io rimango, 
anche se son pronto, 
oramai 
(e non ne ho paura) 
all'ultima dimora. 

Sa di amaro e di sale 
la vita mia, 
sapere il mio suolo calpestato. 

Genti meschine e vili 
siete tutti o quasi 
sudici nordisti e nordici sudisti 
sudditi del Male. 

Solo leggi dure e pure 
e poi da tutti, 
dico tutti rispettate, 
non spezzeranno il Sacro suolo 
e con esso 
anche il mio cuore. 

Italia, 
terra del Petrarca e Pasolini, 
straziata dagli ignoranti 

da lucidi assassini. 

Puranco nel fiele e rugginosa, 
t'amo da morire tutt'intera. 
Eterno e rugiadoso giardino immenso! 
Terra accogliente. 

Italia, 
Amore dei miei giorni vivi. 
Vivi! 

 A gran dispetto 
dei tuoi insetti, 
parassiti 
e viscidi lombrichi.. 




Ed io che faccio.

I ladri di sguardi 
sono sempre tiranni, 
ridotti a zerbini 
degli occhi di fata, 
sono sempre attenti 
a cogliere al volo 
i baci di fuoco 
delle signore. 

Beati loro che 
sanno aspettare 
i tempi giusti 
della vendemmia. 

Loro ci fanno, 
le altre ci stanno, 
invece io 
ad aspettare: 
o troppa pace 
o troppa guerra 
o troppo attento 
o disattento.

Vedi tu 
cosa puoi fare: 
io ci so fare.

Ma tu 
che farai 
se fossi io 
a farti fare 
quel che faresti. 

Sei troppo bella 
da farmi morire. 
Morire 
tra le mie braccia 

rimorire 
ti farei. 

Son combattuto 
non posso agire, 
è troppo il rischio 
di farti fuggire 
come fugge mano 
da ardente tizzone. 

Tremula amante, 
passo esitante, 
sogno sognante, 
acqua increspata 
da brezza marina, 
allor ti dico: 

tu sei gazzella 
ed io 
sono fiume, 
e come fiume...
scorre 
calmo e profondo, 
fiume che sente oramai 
l'amaro del sale 
ma 
ricorda ancora 
le nevi alpine 

Verrai di sera, 
verrai al tramonto: 
a bere l'acqua 
della dolcezza, 
a calmare la sete 
della tua arsura. 

Ma dolce gazzella, 
sii prudente, 
attardati pure, 
esita, 
ritorna sui passi, 
annusa nell'aria, 
indugia, 
guardati attorno, 
poi 
specchiati pure 
nell'acqua 
che scorre profonda, 
degusta, 
deliba a piccoli sorsi, 
inebriati, 
saziati, 
ma non tracannare 
ti prego… stai attenta 
ti potresti ubriacare. 

L'ardente tizzone 
un giorno lontano, 
la candida mano 
d'eterna fanciulla 
vorrà...
sfiorare 

miracolo  d'amore 
toccare 
senza bruciare 

allora 
solo allora 
se vuoi, 
 infine 
l'Inferno verrà.... 




La loco(e)motiva.
Era nero, 
nero di seppia, 
grondava sudore: 
era un cavallo infuriato e possente. 

Squassava la valle: 
gli uccelli sgomenti smettevano il volo. 

Era incosciente del suo potere 
ebbro di forza di fuoco e di vapore. 

Veniva..... 

tanto bastava 
per rendere vana 
alla mia gente, 
l'industria di fare di me 
un buon commerciante. 

L'alto cipiglio 
bianco e chiassoso 
a ritmo furente 
cresceva ed incalzava 
e ... 
foriero d'addio 
un sibilo 
acuto e stremante 
dava in me 
un fremito d'ali: 
le farfalle 
ossessione infantile 
per un mattino 
avevano pace. 

Aimè‚ se ne andava... 
ciufciuff. ciufff...ciuffff...fìììììììììììì!!! 

Quella valle 
immensa 
per cucciolo d'uomo 
di colpo 
era cella d'isolamento. 

Le stelle mi aspettavano già allora 

ringraziando il mio Dio mi aspettano ancora. 

Le caravelle sono sempre pronte 
per chi ha coraggio e un pò d'ardimento. 

Guai a voi che volete fermarmi, 
avrete pane per i vostri denti. 

Non sono nato per scambi di merci e tradimenti. 

Aspettatemi amanti mie, sorelle, madri sono qui. 
Sono qui, non andate via... 
non morite per prime. 
Voglio darvi il bacio della buona notte. 
Stelle infinite... Bambine mie!!




Le onde.
Si infrangono le onde… come i cavalli 
si infrangono contro il tempo. 

Le onde son come cavalli 
con la criniera al vento. 
Le scogliere son sempre il lor tormento 
come per quei cavalli 
che col cuore galoppano controvento. 
Gli asini ed i muli non capiranno 
ma i veri cavalli conoscono il loro Destino. 
Il freddo ed il gelo sono speroni che feriscono 
i loro fianchi 
ma il sangue che copioso sgorga 
è il solo ricordo che rimane del lor tormento. 

Per le onde… i mari son vasti 
ma come schiere infinite 
invano riluttanti essendo flutti 
si infrangono tutte, per leggi divine 
contro scoglio. 

Le onde sono eguali 
sono spume d'acqua senza senso. 
Ma sono tutte diverse: 
ci sono le alte..le vedi da lontano 
e si infrangono possenti e son feroci 
assaltano vascelli come piume 
ma muoiono pur'esse come son nate. 
Non son tante… 
per certo son nate da fondo marino 
che mai potrà esser esplorato 
e son temute e rispettate anche dai pesci. 

Altre il vento le annusa, le sceglie 
e poi  lega a catena e le guida 
verso scogli 
dove sognano di trovare paradiso 
oppure le acquieta e le carezza e calma… 
in quei frangenti 
se a volte la luna le accompagna 
soprattutto d'estate 
quando stanno dormienti immote e immemori 
nel letto dove son nate. 
i loro sogni ispirano i poeti. 
Solo allora son grate e 
si pasturano con biade profumate 
solo allora il loro pelo è lucido e polito 
anche se da sempre sanno 
che viaggeranno verso l'Ignoto. 

A volte si posan su di esse volubili uccelli 
i nobili volatili: i gabbiani 
 e vogliose vorrebbero mettere ali pur'esse 
ma non possono 
e allora per rabbia schiumano 
e s'avventano su tutto 
come toro inferocito contro drappo rosso. 
 

Altre ma poche, 
come focosi arabi o possenti normanni 
vorrebbero galoppare controvento… 
io, mirandole dagli alti scogli 
dove a volte mi rigugio, 
le avverto come compagne disperate e sole… 
son troppe le compagne che sagge 
come mucche o peggio vacche 
si lasciano guidare dal capriccioso vento. 

Alcune vorrebbero aver le ali come gli aquiloni, 
altre, 
acquile d'aspromonte vorrebbero come compagne 
che.. 
alte sui dirupi, su cui un dì libere, 
si infrangeranno, 
se prima vile cacciator non le avrà abbattute, 
coltivano da sole e in silenzio 
le idee di sogno e di stelle 
che gli umani chiamano ideali. 

Sappiate… 
le vere onde non si lasciano cavalcare 
nemmeno se scannate 
o adulate da qualche Dio: 
non temono né l'inferno né l'inverno. 

Sono nobili destrieri 
e nell'atto di morire 
contro scoglio 
nitriscono 
non urlano né piangono… 
vanno incontro alla morte come samurai 
attente a che le lore unghie siano affilate, 
guardando dritto occhi negli occhi la luce del sole. 

Il lor rumor di zoccoli 
sappiate 
rimbomba in ogni tempo ed oltre il Tempo 
ma è suono per il loro Creatore. 

Per loro la Morte è solo cambiamento 
come le canne 
che si inclinano al troppo vento. 

Son pronte a rinascere 
come stelle 
che nella notte si aggiungeranno 
alle altre che stan splendendo. 

Sono figlie del mare e del vento 
sono foglie 
che come fiori di ciliegio di Maggio 
sanno d'essere evanescenti 
ma profumano e cadono leggere e leggiadre 
gridando: 
banzai! 




A mia madre.
Quando tutte le montagne 
ma tutte tutte 
saranno sabbia fine 
di spiagge assolate 
e senza fine…. 
allora 
nell’Oceano del Silenzio 
solo allora 
riposerai, 
e, giardini e giardini 
di fiori sempre in fiore 
che giammai 
dovrai innaffiare 
se non vorrai, 
per sempre ammirerai 
senza stancarti. 

Allora le stelle 
saranno 
per te 
lucciole 
nelle sterminate praterie 
del firmamento… 

Questo ti giuro 
un giorno io 
farò… 
se lo potrò. 

La via Lattea 
sarà allora 
la tua reggia 
e col grande Carro 
un giorno 
porterai il tuo bambino 
ad ammirare il Cigno, 

nella culla di Orione 
mi veglierai, 
tessendo arcobaleni 
di mille e mille colori 
come sono i miei sogni 
quando ti sogno. 

E quando al tramonto 
stanco,sudato,scorticato, 
affamato 
tornerò…. 
ma sazio di battaglie 
sempre perse, 
e tornerò… 
come tu ben sai 
da quando m’hai creato… 
dai confini 
estremi 
del Creato, 
il bagno 
mi farai ma nell’Acquario. 
 

Lo sai mamma 
e se non lo sai,saprai 
ci sono troppe cose 
da scoprire 
e ho troppi sogni 
e farfalle da inseguire. 

Ma ricordati 
che 
guerriero con spada affilata, 
nella notte buia e tempestosa, 
io sarò.. 
per chi si avvicina 
per ferirti 
o peggio ancora per rubarti. 

Fosse Dio, 
sul mio corpo dovrà passare 
se male ti vorrà o dovrà fare. 

Ma a Lui ti affiderò 
per poco tempo, 
poi sarai con me 
in ogni tempo, 
ed io sarò il tuo re 
e assieme il tuo bambino 
e se avrai fame 
potrai nutrirti 
della mia carne 
che io so da sempre 
che è stata e sarà per sempre tua…. 
e non sarà peccato. 

Nell’altra vita 
le stelle del Creato 
saranno 
la nostra casa 
e la tua anima 
e la mia 
sarà la stessa, 
lo dice il mio cuore 
che tu hai creato 
e non solo… 
ma hai pure nutrito 
ed educato. 

Ringrazio 

ringrazierò per sempre Dio 
per la madre 
che mi ha donato: 
delicato fiore di mammola 
e profumato… 
io solo e Dio 
sappiamo 
della Tua essenza 
eterna 

profumata.




La solitudine.
Fedele sei cagna 
che da sempre
segue i passi miei
e come ombra
non lasci tracce
se non nel mio cuore
che t’accoglie 
ma senza amore.

Leggera sei come foglia 
che d’autunno cade
su nera pozzanghera 
e t’istalli come tronco
di sbieco tra le mie ciglia.

Distilli umori 
che marciscono nel petto
e sei padrona 
del mio sguardo
anche quando 
il mare con le sue onde
mi richiama l’infinito 
e sorniona 
nelle sere d’estate
m’impedisci di fiatare
col respiro 
che pretende sideree viste.

Non rinfacciarmi morbo 
né darmi conforto
sono solo
e sempre solo sono stato
anche 
quand’ero tra le sue braccia
io trapassavo i suoi occhi 
e m’immergevo nei vuoti eterni.

La solitudine
è l’unica donna
che mi ha sempre amato,
l’unica 
che viene a cercarmi
senza che io l’insegua
e mi corteggia
sempre pronta ad offrirmi
le sue grazie ed è il luogo 
dove la mia anima 
s’accende 
come cerino che brucia
tra le mie dita.

La vedo a volte
 in un volto di donna
mentre guarda
le sue prime rughe,
nelle vetrine luccicanti
del centro
o nelle sirene
che di notte come falene 
aspettano altri insetti affamati 
di voglie e a volte di amore,
la sento violenta
tutte le volte 
quando so 
che non posso ammansire
i moti che si agitano 
nelle stanze vuote 
e sghimbescie del mio cuore.

E’ la sola ricchezza
che possiedo
anche se non l’ho mai cercata
e mi è fedele 
anche se non l’ho mai sposata.

La solitudine è gatto
fa le fusa
accarezza
ma a volte graffia, 
morde 
e lascia il segno sulla pelle. 

La solitudine è tigre
è soglia
dove l’anima delicata
bussa 
e nel freddo della stanza
veglia 
attendendo in piedi
colui o colei
che giammai verrà.




Per cantare.
Non ci sono giri di parole:
la voce è tuono, è lampo, cuore,
usignolo ferito a morte,
grido di aquila  in mezzo al fortunale,
sesso sfrenato in mezzo a rovi e cemento.



Il basso.
E' voce del Signore:
fa tremare montagne e valli e annuncia il Giudizio Universale.
Non perdona
ma se perdona lo fa con sentimento
e da profondità alla gioia e al lamento.



La chitarra.
E' regina che
non corteggia né si fa corteggiare.
Scatena guerre e tempeste
o
 è  come gatta in amore
con le laccate unghie ed affilate per ghermire il traditore
oppure
 è vellutata e si abbandona ad amplessi con la luna.
Piange e ride
 e a volte si accompagna coi suoi amici
in sbornie, in orge e festini
che lascia felici e stanchi al sorgere del sole.



I tasti bianchi e neri.
E' prateria sconfinata
su cui indomiti cavalli: le dita
la percorrono velocemente senza quasi mai riposare.
Cosa fanno?
Quel che gli altri fratelli non sanno fare:
volare con agili e forti ali sul pentagramma.
Dio della Musica è chi lo sa fare.



Le percussioni "sono il mio tormento".
Da cucciolo mi hanno tagliato le ali e mai ricresceranno.
Il metronomo crudele e senza pietà del tempo non  perdona:
o che vivi o che suoni  detta il mio e il vostro tormento.
V’avrei fatto sentire io la pioggia e il vento,
le tormente e terremoti, o treno coi suoi vaporosi
e lucidi stantuffi che viaggia verso l’Ignoto,
assieme a risacca del mare e vivace e lucido ruscello.
La rabbia dello sfruttato, l’ira di Dio, le urla dell’Anima in tempesta,
avrei narrato coi legni sul mio  tamburo.
Avrei spaccato con la mia anima il cemento
ed il tuono dei cannoni avrei offuscato.

Pensateci voi,
miei giovani fratelli
  a vendicarmi.
Vendicate chi ama la Musica
ma che non la può più suonare.

Demoni del Male e del Nulla tremate:
I Cavalieri  dell’Apocalisse stanno per arrivare!




L'erba voglio.
Giovane ero,
e certo ero
della Verità nel mondo.

Bianco e nero
erano i miei colori
come i fanti e la regina
sulla mia scacchiera.

Stratega con torri e alfieri
al mio servigio,
sbaragliavo il nemico in ogni campo.

Ferrea volontà mi dominava
e muscoli scattanti
pronti alla battaglia
e bellezza nei neri occhi e nella membra 
oltre alla figura di giovane leone
attiravano a nugoli le farfalle.

Le vinsi tutte le battaglie
tranne l’ultima
che persi per la certezza
che mi davano le altre già vinte.

Mai feci prigionieri
e applicai senza incertezza e dubbi
le mie leggi e la mia ferrea morale.

Non capivo che il mondo 
è fatto di sfumature e sottigliezze
e che è più importante convincere
che vincere facendo terra bruciata.

Ahimè tardi imparai a perdonare
e non soltanto le altrui pecche e debolezze
ma anche le mie.

Ma se non avessi fatto quel che ho fatto
adesso non potrei essere quel che sono.

Fai fai quel che per te è giusto
e fallo fino in fondo…
se sbagli stai pur certo
ne pagherai salato il conto
ma sappi che mai da uomo 
sarai padrone della Verità.



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Data di pubblicazione 6/3/1999 - Ultimo aggiornamento 19/1/2001 
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