Muir era un bel gatto soriano con grandi occhi verdi e una pelliccia
striata soffice come seta. Era anche molto intelligente e affezionato ai
suoi padroni, due buoni vecchietti che vivevano in una comoda casetta nella
campagna russa.
Insomma, Muir sarebbe stato un gatto eccellente se non avesse avuto un grosso difetto: la golosità. Gli piacevano soprattutto il latte appena munto e la panna, dolce e densa, che la vecchia padrona custodiva al fresco nella credenza. Non si accontentava, Muir, della grossa razione che gli veniva preparata ogni mattina in una scodella, e, ogni volta che poteva, rubacchiava qualcosa. Dopo il suo passaggio, non restava una goccia di latte nella brocca, e la ciotola della panna sembrava lavata, tanto Muir l’aveva leccata con cura. La faccenda non sarebbe stata tanto grave se i padroni di Muir fossero stati ricchi. Purtroppo erano povera gente, e vivevano del loro lavoro, perciò le razzie del gatto nella dispensa li privavano a volta del necessario. Una sera la vecchia trovò la ciotola della panna, che aveva riposto nella credenza, del tutto vuota, pulitissima. Quella panna doveva servire a fare il burro per tutta la settimana, e la povera donna si arrabbiò molto. Corse dal marito e gli disse: - Muir ne ha combinata un’altra delle sue. Non so più cosa fare. Nascondo le provviste nei posti più impensati, e lui le trova sempre. Lo rincorro col bastone per punirlo, lui scappa a gambe levate e non riesco mai a raggiungerlo. - Che cosa ha fatto questa volta? - Ha divorato una ciotola colma di panna. Marito mio, siamo costretti a prendere una decisione: o uccidiamo Muir, o finiremo per morire noi: di fame. Il vecchio sospirò, rattristato. Voleva, bene al gatto, ma ammetteva che la sua golosità aveva passato la misura.. - Va bene, moglie mia - disse. - Uccidiamolo e non se ne parli più. Mentre i due vecchi sposi parlavano, Muir era sdraiato sotto la stufa, al calduccio, e stava per addormentarsi beato. Quello che udì gli fece rizzare il pelo per lo spavento. Non voleva affatto morire! Si era comportato male, è vero; adesso lo capiva, ma non c’era più tempo per rimediare. Oh, se non avesse rubato tanto latte e tanta buona panna, a quest’ora non si sarebbe trovato in una situazione difficile e pericolosa. Bisognava pensare al da farsi. Muir era furbo, come tutti i gatti, e si mise a riflettere intensamente. Per salvarsi non gli restava che la fuga. Ma non gli andava a genio di andarsene in giro per il mondo da solo. Doveva trovare un compagno di viaggio. Silenzioso come un’ombra, scivolo fuori da sotto la stufa, uscì dalla casetta e corse nella stalla. Là, legato a un palo, c’era un grosso montone, l’unica bestia che i due vecchi possedevano, oltre al gatto. Il montone aveva appena cenato con un bel ciuffo d’erba fresca misto a fieno e stava per addormentarsi. - Fratello montone, - piagnucolò Muir - i nostri padroni devono essere impazziti: hanno deciso di uccidermi! - Avrebbero dovuto farlo già da tempo - borbottò il montone. - Non ha mai conosciuto un gatto goloso e ladro come te. La tua sorte te la sei meritata. - Hai ragione - disse Muir. - Però la cosa non finisce qui: hanno deciso di uccidere anche te. Nell’udire quella terribile sentenza, il montone cominciò a tremare e a battere gli zoccoli sul terreno. - E perché mai? - belò. - Io non ho fatto niente di male. - La regione non la so, amico. So solo che sei condannato, proprio come me. Il montone lanciò un’occhiata alla stalla comoda e tranquilla dove aveva vissuto per tutta la vita e, piangendo amaramente, congiurò il gatto: - Muir, io non voglio morire. Ti prego, aiutami tu. - Ma certo - disse Muir. - Fuggiremo lontano, nella foresta, dove nessuno potrà raggiungerci. Tu troverai erba fresca in abbondanza, e anche a me il nutrimento non mancherà. - E allora, che aspettiamo? Liberami subito e andiamocene! Muir sciolse con una zampa la funicella che legava il montone al palo, poi saltò sulla schiena del compagno e ambedue strisciarono fuori dalla porta, cauti e silenziosi. Il montone prese il galoppo e via, verso la libertà! Purtroppo, le cose non andarono come Muir aveva progettato. Intorno alla casa dei due vecchi si stendeva un terreno roccioso cosparso di sabbia, aridissimo, dove non cresceva un filo d’erba né era possibile trovare piccoli anomali. E così, per ore e ore, Muir e il montone vagarono per quella distesa desolata, stanchi e affamati, rimpiangendo il mondo tranquillo che avevano abbandonato. Sul far della sera giunsero finalmente ai margini di una grande foresta. Dietro un albero Muir trovò la testa di un lupo, probabilmente abbandonata là da un cacciatore. Il montone arricciò il naso. - Robaccia inutile. Ma Muir era di diversa opinione. - Raccoglila, amico, chissà che non ci sia utile, prima o poi. Il montone ubbidì e i due ripresero la strada. Camminavano da ore e cominciava a farsi buio quando in lontananza, tra gli alberi della foresta, videro la luce di un gran fuoco. Erano talmente infreddoliti che decisero di avvicinarsi per scaldarsi un poco. Il fuoco ardeva in una vasta radura e lì intorno, tranquillamente accovacciati a godersi il calduccio, c’erano tre giovani lupi grigi, tre vecchi lupi neri e un grande lupo bianco. Non appena il povero montone li scorse, cominciò a tremare di paura; si vedeva già sbranato da quelle belve. Il gatto, invece, era tranquillissimo. - Smettila di tremare - ordinò al compagno. - Nascondi piuttosto al testa del lupo dietro un cespuglio e seguimi. Vedrai che tutto andrà per il meglio. Il montone obbedì. Gettò la testa del lupo dietro un ciuffo di felci, e seguì il gatto che si era intanto avvicinato al fuoco e con garbo chiedeva ai lupi di poter asciugare il pelo bagnato dalla rugiada. I sette lupi furono gentilissimi con i nuovi venuti. - Avvicinatevi pure e riscaldatevi. È un piacere, per noi, aiutare i viandanti. E invece pensavano che un gatto e un montone sarebbero stati una cena squisita, e i loro occhi luccicavano di bramosia. Il gatto si era avvicinato al fuoco e, tranquillissimo, si girava da ogni parte per asciugare bene il pelo. Il montone se ne stava in un angolino e faceva grandi sforzi per celare la paura. Non appena fu perfettamente asciutto, il gatto si rivolse al montone: - Amico, è ora di pensare alla cena. Portami la testa di uno di quei lupi che abbiamo ucciso oggi. La metterò arrosto. I lupi si scambiarono un’occhiata incredula: possibile che un misero gatto e un montone pauroso avessero ucciso dei lupi? Non ci credevano proprio. Ma intanto il montone si era alzato, allontanandosi dal fuoco. Quando tornò teneva tra i denti la testa di un lupo! - È questa che vuoi? - chiese, deponendola ai piedi del gatto. Muir finse di arrabbiarsi. - No, sciocco che sei! Questa è troppo piccolo per la fame che ho! Il montone era pauroso, ma non stupido. Capì al volo le intenzioni del gatto; riprese al testa tra i denti e scomparve tra le felci. Tornò accanto al fuoco un momento dopo: portava la solita testa di lupo, ma aveva arruffato il pelo, in modo che apparisse più grossa. - Questa va bene? - chiese, cercando di mantenere ferma la voce. Il gatto finse di arrabbiarsi di nuovo. - Sei proprio una stupido. Possibile che tu non capisca mai i miei ordini? Tra tutti i lupi che abbiamo ucciso oggi ce n’era uno molto grosso. È la sua testa che voglio cucinare per cena, sopra questo bel fuoco. Il montone ripartì, trotterellando. I sette lupi cominciarono a provare brividi di paura. Quando, per la terza volta, il montone raggiunse il fuoco stringendo fra i denti una testa di lupo, i tre giovano lupi non poterono più sopportare quello spettacolo. Con la scusa che il fuoco languiva e che ci voleva altra legna per ravvivarlo, scapparono via nel folto. Il gatto e il montone, intanto, continuavano imperterriti la loro commedia. I tre lupi neri, tremando, contavano le teste che venivano esibite alla luce del fuoco. Alla decima testa essi pure capitolarono. - Forse i nostri compagni non sono riusciti a trovare la legna che cercavano. Andiamo ad aiutarli. Si diressero nel folto con passo tranquillo ma, non appena furono fuori vista, spiccarono la corsa ed in un attimo erano lontani. Restava ormai solo il lupo bianco, che era il principe del branco e portava in testa una corona. Il gatto continuava a rimproverare il montone, perché a suo dire, non riusciva a trovare la testa del grosso lupo e ne portava altre non sufficientemente appetitose. Il lupo bianco fece un rapido conto: quelle due bestie dall’aria inoffensiva avevano massacrato esattamente dodici lupi! E allora, terrorizzato, fuggì lui pure a gran velocità. Rimasti soli, il gatto ed il montone scoppiarono a ridere. - Ce la siamo cavata! - disse Muir. - Certo, la libertà è bella ma pericolosa. - E se tornassimo dai padroni e cercassimo di farci perdonare? - propose il montone. - Proviamo - concesse Muir. I due vecchietti, che non erano riusciti a consolarsi della scomparsa delle bestie, ne accolsero il ritorno con gran gioia. Prepararono una grossa ciotola di latte per Muir e fieno profumato per il montone, accarezzarono e coccolarono tutti e due finché non fu ora di andare a letto. Accucciato sotto la stufa, Muir giurò a se stesso che da quel giorno non avrebbe rubato più latte o panna, comportandosi da gatto gentiluomo. E mantenne la promessa. |
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