Cinema.
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Nel buio in sala
una luce
rischiara
occhi stanchi di sognare
e regala
una fantasia ossessiva
che mangia vomita
rimangia
lo stesso
poltiglioso desiderio. |
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Denasatio amoris.
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Tra i cocci del vaso e il terriccio
raccolgo il fiore passo del mio amore,
lo adagio lentamente sopra il fuoco,
e dono postumo, annuso quell’odore
che dal fumo s’esala di bruciaticcio,
e m’inebrio del suo ultimo profumo.
Poi di netto, con secco movimento,
affilato il rasoio, mi stacco il naso,
e lo getto, inutile strumento,
tra i resti della terra e del vaso. |
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Gloria plautina.
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Ogni qualunque arrivato,
tronfio,
scribe le proprie
res gestas
Augusti,
scusatemi i rutti,
in lega di stronzo. |
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Il venditore di baie.
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Tra la chincaglieria del vecchio rigattiere,
al ninnolo che luce
brillerebbero gli occhi al bimbo truce;
e rovistare nel ciarpame immenso
in lotta contro il tempo
breve. |
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L'empirista fallito.
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Raccolti i dati d’osservazione,
l’illusione
è quella legge sperimentale
che trae forza di verità
dalla serie di smentite.
Non so come, ma vale. |
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L'urlo.
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Uomini bestie alberi minerali
siamo tutti ingiusti. Brutalmente
indifferentemente.
La natura ci ha foggiati così,
a sua immagine e somiglianza,
siamo nati per essere tali.
Maledizione! È l’unica verità qui
che trafulmina la mente,
l’unica, che bolle nella panza. |
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Nella notte.
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Fu una gioia quando fu preso,
esultammo ferocemente alla cattura del macellaio
sterminatore,
angelo all’incontrario venuto per i nostri incubi.
E volemmo processarle sul letto di morte,
solennemente, le sue carni malate,
il putridume premangiato dai vermi,
in memoriam,
con tutti i crismi dell’ufficialità.
Ma la lentezza assaporata della forma
fu preceduta dalla malattia,
e sul più bello ci morì il giocattolo
del boia.
L’impiccammo ugualmente,
ma con una fonda nota insoddisfatta,
e la voluttà di pisciarle, straziare quelle
carni straziate,
di macchiarci di quel sangue infetto,
non placava le nostre menti abbacinate dall’orrore,
reclamanti l’estrema abiezione della pena di
morte.
Fu una festa mancata. |
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Ricreazione di cavie.
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Lo splendor puellae
ci fece girare a tutti
le teste
stupidi cani di psicologista,
e passarono le sue gambe
lente
con indugio quasi
di spogliarellista. |
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Attesa (Tu che puoi).
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Accetta la rosa rossa
dimenticala addosso
ma portala sempre con te.
Lascia, tu che puoi,
che scolori, sballottata
tra un contatto e l’altro;
che maceri la sua forma,
tu che puoi, fino a quasi
che diventi irriconoscibile.
Qualcosa, tu che puoi,
tra mille anni, ricorderà ancora
la bellezza di allora.
Ma lascia tu che puoi,
che tutto si compia il processo.
Aspetta che tutto si perda
tutto si perda il colore;
che tutta si perda
tutta si perda la forma.
Mille, tu che puoi,
e mille altri anni passeranno.
E quando, tu che puoi,
finalmente un fiore bianco
d’una forma mai vista
ti sarà sbocciato addosso,
odora, tu che puoi,
neppure più polvere il cuore,
di nuovo il profumo del mio amore. |
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Virtus prudentiae.
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Non bisogna mai adamare niente
perché il retrogusto è micidiale.
Anche il dolce più dolce nel suo fondo
è un mare insopportabile di sale.
Accinto la paperella salvagente,
così parlò il grande saggio o tonto,
secchiello in testa, contro la vampa bestiale,
che tutto seppe, meno nuotare il ponto. |
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Vortice e flusso.
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L’attimo di piacere è profondo,
tuffo vertiginoso dentro il gorgo,
e riemergendo in superficie al mondo,
lo guardi istupidito, scosso dal sonno;
la corrente degli attimi, ferocemente lenti,
ti accorgi incredulo, ti risospinge avanti. |
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Fuori della porta.
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Ci sono gesti,
abitudini che segnano un periodo,
che, chi non fa,
chi non può più fare,
sono riti
di esclusione. |
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Verso l'alba.
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Incomprensibili inafferrabili
liquidi, si sovrappongono
addosso l’un l’altro
fino a sommergermi;
e io a tratti gli occhi apro
come la testa affiorando
a poter respirare,
attraverso il nero mare dove
segni di naufragio del reale
macchie di qualcosa si muove. |
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