Stelle.
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Sparse come riso,
stelle degenerano,
giganti nane, collisioni
di esasperate rotte, lucciconi,
mille timori fan mille digiuni,
e non vi sono astri fra i pruni
della terra, ma deforestazione di sogni,
spargimento di battiti,
e la risonanza fredda del cosmo. |
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A Calliope.
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Invoco rispetto per le Muse.
Sono un museo dal bel canto,
un tesoro nascosto, nelle fratte del groviglio
fatale.
Atomo di bene, particella di male.
Oh Calliope! Il tuo canto è l’idea,
equivalenza colta nel giardino delle idee,
che io sposerò alle umane forme. |
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A Melpomene.
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Cinta dalla coronata vite,
rossastra di sdrucita sofferenza,
Dea risolutrice di storica inadempienza,
sovrana lucente, spada di monolite.
Crete dilaniate, madri ferite,
capri sacrificali, essenza
di spemi e gaiezze smarrite.
Melpomene canta l’antico affranto,
adagio e nullo il mascherato canto,
se non la dura nota di sconforto.
Il calco tuo incrinato d’acanto,
dei condannati a guerra nel campo,
giace a Est da Pola, un Mar Morto. |
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A Euterpe.
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Danzava la sinuosa Tersicore,
palpitava l’arpa suoni soavi,
striduli insulti per gli ignavi,
garrula poetessa d’amore.
Fanciulle d’Euterpe, davan tenore
Ai fiati, in cori mai gravi,
l’infinite stagioni ritmavi,
Diva, del tuo estatico umore.
La rallegrante pescava miele,
dai favi e mescita disponeva,
sui sensi feriti ed offesi.
Giardini di sonanti zufoli cortesi,
ove la mia poetica beveva,
il nettare della grande Cibele. |
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A Tersicore.
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Tutto ti fa coro,
fulmine danzante,
le tue gambe, compasso,
disegnano colori e prospettive.
Arpe dolci, le tue lascivie,
lira infuriata, le tue danze,
le vie aperte al tuo oscillante sole.
Oh Isadora! Oh Tersicore! |
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Notte.
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La notte vivacchia di gelide luci,
fredda di nebbie e voci,
umiliata al giaciglio,
sacrificata al parere vermiglio,
dell’infernale bolgia sabbatica.
Lunatica insonnia,
fatta di spettri, animate speranze,
svolazzanti sui comignoli,
aggrappate nel buio e nei canti. |
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Al fantasma volante.
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Così vaghiamo nella notte fonda,
sospinti da imprecisi radar,
fluttuando fra la fronda,
impulsi, affezioni, sonar,
proiettati nel fondù,
per le correnti che ci sperdono.
Al colore non badiamo,
sorretti dalla cieca forza, rimbalziamo,
su bersagli offuscati,
volgendo spenti occhi sul mondo, bailami,
le ultime inquietudini agli ultimi umani. |
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Canto di Orfeo a Euridice. |
All’ombra dei Dioscuri,
tenebra e luce accostate ai nostri occhi.
All’ombra dei Dioscuri,
l’oro luccica di bene e tanfa di male.
La belva fiera divide il passo,
cammino e trapasso,
faccio spola, ora indugio, ora destino
la mia scossa anima in balia del varco.
Una decisione, la freccia, l’arco,
l’ora, la pentolaccia percossa,
il suo pertugio, la tua linfa.
Ed armonici balenii d’ombre riflettono i
periatti,
sulla carta di riso appaiono i nostri atti.
Vita e morte rimangono confine,
crine di cavallo sfuggenti,
superbe ai cuori ed alle menti,
premio di Castore e Polluce,
premio di nitore e luce.
Riserbo la verità taciuta,
all’animella che muta presso il sacello
,
dov’è tenuta risposta al ciclo umano.
Tra la vita e la morte,
sonnecchia dolce,
il tuo transitorio t’amo. |
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Agli albori del mattino.
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Intarsi di luce su anime di vetro,
svolazzi di cori d’ombre,
e scintillanti vetri di serragli.
Il mattino spezza i fianchi dei colli,
coi ruggenti aliti di brezza.
Nube, l’amarezza del giorno al disincanto notturno.
Labbra d’argilla su foglie di creta,
dalla lamiera non fluisce suono.
Non staremo al capezzale delle ideologie,
noi andremo avanti per altre vie. |
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