Stella torna a casa fatta alle cinque del mattino.
Mentre piscia vado sulla soglia del bagno, mi appoggio allo stipite accendendomi
una sigaretta. La guardo per un po’. Molto stupidamente dico, “Sai che
ore sono”, come un’affermazione. Lei si getta acqua fredda sulla faccia,
si ravvia i capelli e tossisce. Si gira verso di me e mi guarda con uno
sguardo vuoto, poi va di là e si butta sul letto. La seguo, non
accendo la luce. “Dove sei stata?” chiedo. Non risponde. Torno nel bagno
per gettare la cicca nel water, tiro l’acqua. Mi guardo brevemente nello
specchio. Di nuovo nella stanza da letto guardo Stella che dorme o fa finta,
una sagoma nera nel buio. Penso che, mio malgrado, la amo. Mi stendo accanto
a lei aspettando che suoni la sveglia alle sette per andare a lavorare.
In ufficio cerco di non pensare a nulla, il tempo
passa molto lentamente. Tornando per il centro a piedi c’è un ragazzino
sui dodici anni a una cabina telefonica che compone un numero. Accanto
a lui un bambino più piccolo sta dicendo, “Telefoni a casa mia?
Non me ne frega niente”, ma ha gli occhi terrorizzati. In casa Stella non
c’è, non ho messaggi in segreteria. Mi lascio cadere sul divano
e mi addormento quasi subito.
La chiamo sul telefonino. Risponde così,
“Mi si sta scaricando la batteria”, con un tono assurdo quasi gentile.
Io non riesco a essere naturale, le chiedo se vuole venire a cenare da
me
o a dormire, la telefonata è troppo breve. Alla fine vado a cena
con qualcuno, durante il pasto bevo molto vino e mi sorprendo a pensare
senza nessuna ragione a un albergo dove sono stato. “Fumi sempre così
o sono io che ti rendo nervoso?” mi chiede scherzando il mio interlocutore,
io rispondo che fumo sempre così e, grazie al vino, riesco persino
a sorridere.
Compro un pacchetto di sigarette e un centinaio
di metri più avanti lo lascio cadere in un cestino dei rifiuti,
perché sto cercando di smettere. Una notte io e Stella eravamo a
letto a fumare nel buio, e ridevamo per niente, e il suo viso (che non
riuscivo a vedere) era esattamente uguale ad ora. Questo mi sorprende un
po’. Mi sono rimasti impressi alcuni particolari come un suo gesto della
mano, un’espressione nello specchio, una battuta, che adesso mi tornano
alla mente nei momenti più impensati, ad esempio mentre sono in
coda alla cassa al supermercato oppure nel corridoio dell’ufficio quando
vado a fare un fax o una fotocopia. A casa di lei quando Robby è
via ci sono momenti di silenzio in cui non ci guardiamo. Provo delle sensazioni
sgradevoli. Non so se vorrei chiederle qualcosa, alla fine sto zitto.
Incrociamo un gruppo di ragazzi che parlano fra
di loro, passando mi arrivano alle orecchie le parole “industriale del
secolo scorso”, che mi paiono insensate. Continua a non piovere, il cielo
è secco e scolorito, come vecchio. In un parco cittadino stringo
la mano di Stella senza parlare, chiedendomi perché. Il pomeriggio
passa veloce, non trovo risposte. |